Non tutti avranno la fortuna (o sfortuna, a seconda del lato dal quale si analizza la questione) di ascoltare la radio di domenica mattina dalle 8.45 alle 9.30. Facendo zapping, ci si imbatterà quasi sicuramente in una singolare trasmissione di nome Blackout. Si penserà di essere capitati su Radio Tufello, il cui ultimo programma radiofonico in diretta è datato 1967 (non ricordiamo se prima o dopo Cristo). E' in corso uno sketch, senza un minimo di brio, pathos scenico; la comicità lascia spazio alla banalità che infonde a tratti un senso di compassione all'attenzione di chi è dietro il microfono. Un conduttore che, nello schema moderno di radiofonia, dovrebbe servire da fiera spalla, si limita invece sciorinare una collezione di locuzioni senza fine. E' un fiume di “beh”, “mah”, “ah”, “però”, “ecco”, davvero entusiasmante. Pure il collega al suo fianco, la cui volontà sarebbe – lo speriamo per lui e per Gasparri – quella di imitare Gasparri, si manifesta sciapetto e nemmeno tanto simpatico. La battuta non esce, la risata si spegne in un ghigno che, in talune situazioni, potrebbe essere scambiato per paresi; il ritmo della trasmissione è soporifero, peggio di Radio Long Night (cfr. 610, trasmissione del medesimo palinsesto, tutto un altro mondo, date retta al babbo). Viene quasi da pensare che il canovaccio non esista e che questi due disperati si siano incontrati per caso al primo piano di via Asiago, magari uno in cerca del bagno e l'altro in cerca di un formaggio. Eppure dall'altoparlante ci pare di riconoscere un particolare timbro di voce, quello di un grande artista di teatro, pluripremiato per performance di tutto rispetto sul piccolo e grande schermo. Sì sì, è proprio lui: Neri Marcorè. Lo abbiamo visto recitare in “Un certo Signor G”, qualche mese fa. Spettacolo entusiasmante, in cui l'attore ha tenuto il palco per più di due ore monologando e cantando senza manifestare la più piccola incertezza. Chirurgico nelle battute, spumeggiante, espressivo. Qui neanche per errore. “Forse non riesce ad interiorizzare il suo dolore per la perdita improvvisa del proprio gatto” - pensiamo. Purtroppo la trasmissione, se così la si vuole chiamare, non si rialza neanche col monologo successivo, firmato Simona Marchini, che parla di una storia senza capo né coda, probabilmente scritta dal paroliere di Franceschini. Ma... un attimo... chi è lo speaker? ... La voce è inconfondibile... NO!
Enrico Vaime.
Come per magia, la nebbia si dirada in un baleno e, come in un mosaico della Chicco (a due pezzi), ogni tessera recupera il suo posto a formare un disegno mentale chiaro come la luce. “Ah... ecco perché 'sta trasmissione è 'na rottura de c...”, si sente dal piano di sopra. Evidentemente anche il vicino sta ascoltando Radio2.
Una volta però Vaime mi ha fatto involontariamente ridere: è successo qualche annetto fa, quando mio padre è entrato in cucina, l'ha sentito commentare non so più qual fatto di politica in una maniera che non gli è piaciuta (cit.) e dopo pochi secondi gli ha gridato ogni sorta di insulti, comprese alcune invettive in serbocroato e pakistano occidentale, cosa molto apprezzata dalla mia vicina che va in fissa con l'Oriente - concludendo con un "Ma questo nun sa nemmeno parlà!" (romanizzazione a cura del SRI, Servizio Romanologico Italiano)
RispondiEliminaMario Kraus