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venerdì 17 settembre 2010

Vuvusettete

Ringraziamo Mamma Slovacchia. Mi direte: “Cosa?” Sì, sì, ringraziamola: pensate un secondo alla vuvuzela. Pensato? Bene. Pensate ora se gli azzurri si fossero qualificati agli ottavi. L’Italia gioca contro l’Olanda e, ormai ringalluzzita dallo scampato pericolo (e dal culo di Lippi in rialzo sui mercati mondiali), passa inopinatamente il turno. Va ai quarti e ci trova il Brasile che, pur passando subito in vantaggio, scompare nella ripresa. L’Italia è lanciata e, dopo un inizio all’insegna di un lieve e cauto sbandamento, ne approfitta segnando due reti che chiudono la partita, poi semifinaleggia con l’Uruguay tra l’entusiasmo generale e non può certo permettersi il lusso di mollare proprio ora. Le vuvuzela ormai strombazzano in centro attorno ai maxischermi, il vostro vicino di casa ha cominciato a prenderci gusto e poi, convinto dalle insistenze del figlioletto, si è procurato un esemplare di quello strumento ronzante, ma lui e il marmocchio aspettano a suonarlo per scaramanzia.
L’Italia smantella l’Uruguay con un categorico 3-1 e la finale le spalanca le sue porte per un’appassionante rivincita con la Spagna. Le furie rosse non sono più la squadra spettacolare di due anni prima e si vede: solo la prudenza impedisce agli azzurri di vincere già nei tempi regolamentari. A una decina di minuti dai rigori arriva comunque la rete decisiva degli azzurri su calcio d’angolo (proprio quel calcio d’angolo che l’arbitro non concesse nella brutta finale con l’Olanda che ci siamo sorbiti un paio di mesi fa). È finita: da lì in poi la moda della vuvuzela contagia anche vostra suocera e gli altri vicini. Il cortile diventa un putiferio assordante. Il frastuono non accenna a ridursi nei giorni seguenti e non si può più star tranquilli neppure in ufficio: persino il direttore generale strombazza senza ritegno a perenne ricordo dell’insperata vittoria azzurra. Già quella del 2006 aveva meravigliato non poco il pubblico più fiducioso, figurarsi questo bis che ricorda pure nei dettagli la partenza mogia dell’82 e poi la rinascita. Voi però non ce la fate più: non c’è pace tra i nuovi ulivi, non potete farvi una dormita perché le vuvuzelas vi rintronano anche nelle ore più quiete della giornata e della nottata, il vicino ha ormai noleggiato un’orchestra a tempo pieno e voi avreste l’intenzione di seguire le orme di una romantica coppietta di Erba quando improvvisamente vi svegliate, fate mente locale un secondo e poi, rasserenati, bisbigliate all’Italia e al Mondo: grazie Slovacchia, no alle vuvuzelas.
Mario Kraus

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