Un giro sugli autobus della nostra stridente città è, detto fra noi e scritto fra voi, la cosa più salutare immaginabile: dall’uno che s’intrufola nei labirinti di Corso Francia, aggira con destrezza il centro ed evita la fin troppo ambita Piazza Castello, già principescamente servita dal pachidermico 13, dall’agile 55 e dallo sgusciante 56 per dir dei più noti e ignorare il 4 dove, per un certo tratto, si vende anche la coca. Il 33 sbarrato (quasi una galera), che ha agitato lungamente i nostri sogni, è ormai parte delle leggende metropolitane e della storia taurinense (dico taurinense anziché torinese perché mi sembra un aggettivo un po’ più nobile), mentre il 65, costretto a deviare dalla sua antica linea e a non passar più maestoso sul ponte che sovrastava la ferrovia di Porta Susa, deve costeggiare timidamente la stazione, quasi a dover chiedere il permesso per entrare in Piazza Statuto, a lui preclusa nel tempo in cui di metropolitana si bisbigliava. Tra una fermata e l’altra mi stavo dimenticando il 16, che porta i cittadini nei covi della pittoresca delinquenza locale.
Mario Kraus
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