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martedì 16 maggio 2006

Bella Storiella

Adesso vi raccontiamo una bella storiella, ovviamente di fantasia.

De Mita, divenuto segretario della DC nel maggio 1982, inaugura il suo ingresso nell'establishment laico e progressista, ai primi di luglio, nell'attico romano di Carlo De Benedetti. Il padrone di Repubblica e de L'Espresso, in quell'occasione, fece incontrare De Mita con Scalfari, Spadolini (allora Presidente del Consiglio), Ottone, Carli, Ossola, Ruffolo e Maccanico, segretario generale del Quirinale. Da quell'incontro nasce l'imposizione di Prodi alla presidenza dell'IRI. Scelta dovuta per contrastare il PSI di Craxi che, con la vittoria elettorale e l'insediamento a Palazzo Chigi, aveva fatto saltare il «patto» tra DC e PCI sulla spartizione del potere. Infatti, stante la presenza dell'Italia nella NATO e il sistema economico del Paese, il Partito comunista non poteva entrare, purtroppo, nel governo. Per sopperire a questa «incongruenza politica» le istituzioni del Paese erano state configurate in maniera tale da permettere ai comunisti di far sentire il loro peso, pur non permettendo l'alternanza tra maggioranza e opposizione alla guida dello Stato.
Il Partito socialista di Craxi, visceralmente anticomunista, aveva spezzato questa catena ed ecco, quindi la nomina di Prodi alla presidenza dell'IRI, per riaffermare la presenza di una sinistra cattolica e socialista filo-comunista.
Prodi per sette anni diresse l'IRI, sfruttandolo anche per far assegnare commesse da parte di aziende del gruppo a favore di Nomisma, la sua società bolognese di consulenza. Prodi uscì indenne dai processi perché le aziende erano società per azioni di diritto privato e quindi i dirigenti non erano qualificati come pubblici ufficiali. Mani Pulite cambierà anche questo, per cui le società controllate da enti pubblici sarebbero state considerate tutte operanti nell'interesse pubblico, con le relative conseguenze per gli amministratori.
Al termine dei sette anni, Prodi lasciò la Presidenza dell'ente, dopo aver «lottizzato come un democristiano». 170 nomine, delle quali, ben 93 (il 54,7 per cento) assegnate a esponenti democristiani «di sinistra».
Giocando sulle parole e sull'interpretazione dello statuto dell'Ente, Prodi vantò utili inverosimili (12 miliardi e 400 milioni nel 1985). La Corte dei Conti, magistratura di sorveglianza, chiarì le menzogne: «Il complessivo risultato di gestione dell'Istituto per il 1985, cui concorrono... sia il saldo del conto profitti e perdite sia gli utili e le perdite di natura patrimoniale, corrisponde a una perdita di 980,2 miliardi, che si raffronta a quella di 2.737 miliardi consuntivata nel 1984». La Corte, inoltre, segnalava che le perdite nette nel 1985 erano assommate a 1.203 miliardi contro i 2.347 miliardi del 1984. Nei sette anni di gestione Prodi, il netto patrimoniale dell'IRI si dimezzò, passando da 3.959 a 2.102 miliardi: la spiegazione è semplice, si era mangiato il capitale ed aveva regalato Alfa Romeo a Fiat dalla quale prese grosse somme di denaro in tangenti e commesse per la Nomisma. La conferma di tutto questo si trova nell'indebitamento dell'Istituto, salito dal 1982 al 1989 da 7.349 a 20.873 miliardi (+184 per cento), e quello del gruppo IRI da 34.948 a 45.672 (+30 per cento). Lo stesso D'Alema, intervistato da Biagi in televisione, affermò che Prodi, da lui scelto per guidare la coalizione contro Berlusconi, era un «uomo competente» perché quando lasciò l'IRI nel 1989 il bilancio dava un «più 981 miliardi». Fu facile confutare queste affermazioni, facendogli notare che la cifra reale, tenendo contro delle perdite siderurgiche transitate soltanto nel conto patrimoniale, era di «meno» 2.416 miliardi. Il buco reale non fu mai contestato dai diretti interessati.
La vera abilità di Prodi stava nel riuscire a prendere soldi dallo Stato a costo zero. La conferma ci viene da un articolo di Paolo Cirino Pomicino (sul «Giornale» a firma «Geronimo»), nel quale rileva che dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla data di nascita dell'IRI, Prodi ne ottenne ben 17.500!
La falsità politica di Prodi verrà alla luce il 17 luglio del 1998, quando nella qualità di Presidente del Consiglio affermò alla Camera che, con la Prima Repubblica, l'Italia non sarebbe mai potuta entrare in Europa. Feroce la risposta, quattro giorni dopo di De Mita: «È singolare che un ex ministro democristiano, un uomo che per sette anni ha diretto il più grande ente economico italiano per conto della DC, faccia la storia della Democrazia Cristiana con una grossolanità che è solo il riscontro di un limite di intelligenza».

Conclusione: Berlusconi è un mafioso.

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