Più del quindicesimo di partita giocata e delle contestazioni della tifoseria in tumultuosa trasferta, di Italia-Serbia mi è rimasto impresso il commento dei nostri telecronisti quando i giocatori balcanici han tentato di calmare i loro sostenitori applaudendoli. Lasciando da parte il segno delle tre dita, che non simboleggiava lo 0-3 a tavolino temuto dai serbi e volutissimo dagli italiani, sono trasecolato sentendo parlare i cantafavole italiani di “applausi ironici” nei confronti dei tifosi già inferociti per conto loro e anche per colpa della squadra che aveva appena perso con l’Estonia, un’impresa che non era riuscita neppure all’Italia.
Se davvero Stankovic e compagnia calcistica avessero applaudito ironicamente gli ultras al seguito, al ritorno in patria non avrebbero fatto in tempo a vedere neppure la S del cartello “Serbia”: sarebbero stati massacrati prima dall’allegra brigata di Bogdanov. Applausi ironici: figurarsi… E che dire delle ripetute rassicurazioni del tipo “i tifosi serbi non ce l’hanno con noi” e via tranquillizzando? Chissà come mai, nel loro spicchio di curva campeggiava chiaro e visibilissimo uno striscione con su scritto “Vaffanculo”. Strana coincidenza: visto che non era rivolto a noi, si vede che l’insulto dev’essere uguale sia in serbo che in italiano. Quanto alle manifestazioni infantili di stupore da parte di Mazzocchi e soci perché un pompiere era sopraggiunto sul luogo del delitto con un idrante (“Sono entrati gli idranti, arrivano gli idranti!!!” manco fosse piombato lì con un mitra sparando alla cieca), meglio non soffermarsi.
La TV di Stato conferma una volta di più di trovarsi in un anno di grazia: abbiamo già digerito con molta fatica la scomparsa di due terzi dei mondiali dai nostri televisori (ci siamo persi Ghana-Uruguay e Inghilterra-Germania, giusto per ricordarne un paio, ma in compenso ci han fatto vedere il concerto di Shakira alla vigilia del torneo, so’ soddisfazioni), hanno mandato i cronisti in Sudafrica con tanto di studio sul posto mentre quelli tedeschi trasmettevano più modestamente da casa, ci sorbiamo splendide trasmissioni ricche di pathos tipo “Ti lascio una canzone”, ci becchiamo le televendite nelle trasmissioni e gli spot pubblicitari piazzati nel bel mezzo dei film (e poi si diceva che “non si interrompe un’emozione” per dare addosso a Mediaset), ma bisognava approfittare di un’occasione come questa per far risaltare l’acume di commentatori arcipagati per descrivere e talvolta falsare quello che vediamo benissimo da soli. Conclusione: gli applausi ironici facciamoli alla Rai.
Se davvero Stankovic e compagnia calcistica avessero applaudito ironicamente gli ultras al seguito, al ritorno in patria non avrebbero fatto in tempo a vedere neppure la S del cartello “Serbia”: sarebbero stati massacrati prima dall’allegra brigata di Bogdanov. Applausi ironici: figurarsi… E che dire delle ripetute rassicurazioni del tipo “i tifosi serbi non ce l’hanno con noi” e via tranquillizzando? Chissà come mai, nel loro spicchio di curva campeggiava chiaro e visibilissimo uno striscione con su scritto “Vaffanculo”. Strana coincidenza: visto che non era rivolto a noi, si vede che l’insulto dev’essere uguale sia in serbo che in italiano. Quanto alle manifestazioni infantili di stupore da parte di Mazzocchi e soci perché un pompiere era sopraggiunto sul luogo del delitto con un idrante (“Sono entrati gli idranti, arrivano gli idranti!!!” manco fosse piombato lì con un mitra sparando alla cieca), meglio non soffermarsi.
La TV di Stato conferma una volta di più di trovarsi in un anno di grazia: abbiamo già digerito con molta fatica la scomparsa di due terzi dei mondiali dai nostri televisori (ci siamo persi Ghana-Uruguay e Inghilterra-Germania, giusto per ricordarne un paio, ma in compenso ci han fatto vedere il concerto di Shakira alla vigilia del torneo, so’ soddisfazioni), hanno mandato i cronisti in Sudafrica con tanto di studio sul posto mentre quelli tedeschi trasmettevano più modestamente da casa, ci sorbiamo splendide trasmissioni ricche di pathos tipo “Ti lascio una canzone”, ci becchiamo le televendite nelle trasmissioni e gli spot pubblicitari piazzati nel bel mezzo dei film (e poi si diceva che “non si interrompe un’emozione” per dare addosso a Mediaset), ma bisognava approfittare di un’occasione come questa per far risaltare l’acume di commentatori arcipagati per descrivere e talvolta falsare quello che vediamo benissimo da soli. Conclusione: gli applausi ironici facciamoli alla Rai.
Mario Kraus
P.S. Sulla tifoseria serba e sul suo comportamento riporto quel che scrive Manlio Collino, un grande giornalista italiano, sul suo blog:
Il destino burlone ha voluto che oggi, nello stesso giorno in cui dilagava sui media lo sdegno per la violenza dei tifosi serbi che hanno “devastato Genova” e impedito lo svolgimento di Italia-Serbia, il giurista Zagrebelsky scrivesse su La Stampa (nell’ambito della settimana dedicata a Norberto Bobbio e al suo “Elogio della mitezza”) che superato il limite, miti o non miti che si sia, si deve cessare di subire e passare all’azione perché “quando la società si fa violenta, quando la politica si alimenta di questa violenza e a sua volta l’alimenta creando divisioni, esclusioni, inimicizie, ingiustizie, sopraffazione e paura, anche i miti non disdegneranno di uscire dalla loro indole profonda e indossare quella dei loro nemici, e quando ciò accadrà, bisognerà temere l’ira dei miti”
Sdoganata l’ira, un vizio capitale? Macché vizio: L’Avvenire, riprendendo quanto ha scritto padre Cucci sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica, dice oggi: «L’ira non è di per sé negativa: se il fine e i mezzi da essa perseguiti sono buoni, può diventare un sostegno prezioso per compiere il bene, anzi, in alcune circostanze e per gravi motivi adirarsi diventa cosa giusta e doverosa». Secondo il teologo gesuita, l’ira andrebbe riscoperta come virtù da praticare per «intervenire sulla situazione e cambiarla». Sia per i laici che per i religiosi, dunque, l’ira è doverosa perché aiuta a cambiare le situazioni.
Ma allora è “giusta e doverosa” anche l’ira degli hooligans nazionalisti serbi! Li aiuta a cambiare una situazione: non vogliono l’entrata della Serbia nella UE! Sotto la violenza esibita a Genova c’è una frustrazione ideologica pari a quella dei rossi che misero a ferro e fuoco, durante il G8 del 2001, la stessa città.
Perché dunque i serbi di ieri ci vengono presentati come delinquenti e i compagni del 2001 come eroi? Perché i primi li si demonizza e i secondi li si esalta al punto da dedicare una sala del Parlamento al loro “caduto” Giuliani e nominare sua madre senatrice nelle file di Rifondazione Comunista?
Oggi tutti strillano che “i nazionalisti serbi hanno ottenuto con la violenza la visibilità mediatica che cercavano, alle spese del calcio”. Ma perché il calcio dovrebbe essere immune da quanto succede a strade, autostrade, ferrovie, porti e aereoporti italiani, quasi tutti i giorni, e da più di mezzo secolo? Perché la frustrazione serba (l’80% del territorio jugoslavo tolto a Belgrado con la connivenza dell’Europa, una guerra devastante – e squilibrata – subita da parte della Nato, con bombardamenti anche italiani, l’economia strangolata dalle sanzioni…) che ha bloccato la partita rovinando la festa a qualche famigliola genovese (si cita sempre i bambini, quando si denuncia la “violenza negli stadi”) deve valere meno di quella dei pastori sardi che quest’estate bloccavano porti ed aereoporti o degli operai di Termini che bloccavano ferrovie e autostrade, rovinando le ferie di migliaia di famiglie e il portafogli di chi transitava di lì per lavoro?
La risposta è semplice: la parola nazionalismo è al bando. Chi lotta per la patria, chi s’incazza perché gli han portato via del territorio, è un pericoloso nazionalista-leghista xenofobo. A meno che sia palestinese o afghano.
Manlio Collino
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