Li si riconosce a vista d’occhio: jeans stretti, Ray-Ban, bomber nero oppure, a scelta, T-shirt sempre nera ovviamente, con annesso bicipite palestrato e tatuato. Tutti uguali, la solita storia: il fascino irresistibile della divisa. Se poi i più ingenui avessero ancora dei dubbi, basta prestare l’orecchio agli slogan. E così fra tamburi e fischietti, non si fa fatica a distinguere gli immancabili rigurgiti dei neofasci: fra “Boia chi molla è il grido di battaglia” e il classicissimo e mai desueto “Duce! Duce!”, trovano spazio anche motti più coloriti e più aggiornati: “No Prodi, No froci”. Tappa fissa, è naturale, Piazza Venezia, sotto il balcone: è un must. Braccia destre tese, croci celtiche al vento e cori che con vivida commozione intonano un nostalgico “Italia a noi!”. Persone reali o feticci di un passato con cui si pensava di aver chiuso i conti da tempo? Loro rispondono alle domande con disinvolta naturalezza. Armando, 19 anni, studente di ingegneria risponde così a chi gli chiede perché sente il bisogno di identificarsi nel saluto romano: “Lo faccio e basta”. Poi spiega che proviene da una famiglia di (estrema) destra da sempre: “Non si offendono se gli dici fascisti, lo sono”. Cosa pensi degli immigrati? La risposta fa accapponare la pelle: “inquinano la Purezza degli italiani”. O mio Dio. Un signore distinto sventola il vessillo con teschio e il motto “Memento audere semper”: è lo stemma dalla brigata X Mas, tristemente noto corpo militare della fascista Repubblica Sociale di Salò, che si distinse per la sua efferatezza nelle sanguinose operazioni contro civili, partigiani ed alleati, a sostegno e per conto dei nazisti. Perché è qui, gli chiedono. Risponde che non lo sa, ma che la Decima esiste ancora. Mentre risuonano nella piazza le note dell’Inno di Mameli in onore degli “eroi caduti a Nassirya” e i neofasci lo cantano a squarciagola, braccio teso e sull’attenti, poco più in là i fischi si sprecano: sono i no-global? No, sono gli immancabili giullari della Lega, che aspettavano questo momento con malcelata impazienza per dare sfogo al proprio spiccato senso patriottico. Quando sul palco sale Bossi, è salutato da un imperdibile “abbasso il terun”, per ricordare a tutti quanto stiano loro a cuore gli spinosi problemi della questione meridionale. Un vecchietto di 72 anni, ex-professore universitario (!), ha le spalle avvolte in una bandiera monarchica. I nostalgici dei Savoia mancavano all’appello in effetti. Non parla volentieri di Vittorio Emanuele ed Emanuelo Filiberto, ma non ha dubbi: “la battaglia contro l’articolo 139 della Costituzione che impone la Repubblica è sacrosanta”. Sul palco ci sono grandi insegne che recitano: “Contro il regime, per la libertà”. Io ho i brividi. Voi?
JeanLuke
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