La cecità legalizzata continua: a Torino hanno approvato un kit di disposizioni a tutela degli animali, in televisione ti sbattono sul muso un cerbiatto e inveiscono contro la caccia titolando a tutto schermo “Salvate Bambi”. Sì, però mica ci dicono cos’hanno mangiato a pranzo, e paffuti come sono c’è da scommetterci che giornalisti e giudici siano tutto men che vegetariani. È legittimo, in fondo, no? Bambi ti fa tenerezza e a sentir parlare di cacciatori ti verrebbe voglia di sparare addosso a loro, ma come dire di no a una bistecca? O al macinato prelibatissimo che ti sei fatto fuori a colazione stamattina prima di cavar fuori dall’armadio la bandierina da animalista? Certo, tutto ha una logica: il cerbiatto è un conto ed evoca teneri ricordi d’infanzia, ma il Bisteccone non puoi proprio metterlo sullo stesso piano, ti rammenta solo un cronista un pochetto soprappeso e con un bel “Ma vaffanculo, va” acquattato dietro un angolo della bocca e sempre pronto a partire. Ergo quello se lo magnamo, senza appello e alla faccia delle disposizioni. Però, però, ecco, m’era parso di assistere pochi giorni fa a un bel servizio su Rai Tre in cui si faceva presente che “non c’è diversità tra gli animali”. Ma cos’è, ci pigliamo in giro? Se un gatto va considerato alla stregua di un cerbiatto o d’una formica, allora l’alternativa è diventare tutti buddisti o tramutarci tutti in carnefici. Delle due l'una: questo stare in mezzo, questo Gianobifrontismo a seconda delle circostanze è il solito lusso schizofrenico all’italiana. E poi, diciamocela tutta, tra gli animali c’è diversità eccome, persino tra esemplari della stessa specie. Il mio gatto che ho portato da Torino fa regolarmente miao come tutti gli altri. Qui a Pitigliano, invece, per conformarsi all’uso locale, fanno tutti “miau”. E quando hanno visto, o meglio, sentito il mio micio, l’hanno subito preso in giro per l’accento. Poi dicono che al nord siamo razzisti.
Mario Kraus