Forse non tutti sanno che, enigmisticamente ed enigmaticamente, quando uno fa gli auguri per l’onomastico col T9, anziché scrivere “auguri di buon onomastico”, vede comparire sul quadrante l’inopinato auspicio “auguri di buon monocruico”. Stupore e sgomento in sala: com’è possibile che, al posto del nome della festa (che certo proprio un neologismo fresco di giornata non è), compaia questo termine assente per ferie dal vocabolario italiano e, come mi assicurano dottissimi esperti dalle varie accademie linguistiche interpellate, anche da quello delle altre lingue romanze (casomai si fosse verificata un’invasione di campo da parte del romeno o del catalano orientale)?
Il mistero ha subito scatenato dispute e dibattiti accaniti: per esempio il Fatebene-Cugini, noto linguologo dell’area dalmata e del perimetro finnico, ha ipotizzato l’esistenza in epoca romana di una serie di “feste cruiche”, che al pari del nostro trittico “Natale-Capodanno-Quell’impicciona della Befana”, venivano considerate collettivamente ed erano perciò ridenominate “policruico”, anche per far contento il noto aedo del tempo Renatus Zerum, secondo il quale era sempre meglio se “ce sta ‘na parola sola” (unum solum verbum est). Dal “policruico” è stato quindi naturale passare al “monocruico”, inteso come festa unica* e a beneficio di una singola persona, com’è appunto l’onomastico.
Curioso, piuttosto, è il fatto che l’accezione del lemma “monocruico” non si sia estesa anche al compleanno, altro giorno che condivide molte caratteristiche con l’onomastico, forse perché in quel frangente il programmatore del T9 era rincasato a un’ora decente la sera prima senza sfondarsi di vodka e pertanto non ha fatto casino con la relativa combinazione dei caratteri.
Gnaggnerox
* Come diceva sempre Renatus, “una sola dies festi est” (“ce sta ‘na festa sola”); e poi dice che gli antichi Romani lo Zero non lo conoscevano.